Dopo i dazi di Trump: analisi e previsioni degli effetti economici nel convegno dell’Università di Urbino
Dopo i dazi di Trump: analisi e previsioni degli effetti economici nel convegno dell’Università di Urbino
Si è svolto lunedì 12 maggio un incontro aperto al pubblico tra studiosi di diversi atenei. L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Società Italiana di Economia (SIE)
Comprendere gli effetti economici attuali e attesi delle politiche tariffarie USA dal Liberation day in poi. Con quest’obiettivo un gruppo di studiosi di diversi atenei si è riunito lunedì 12 maggio, analizzando la questione dei dazi da differenti prospettive in un dibattito aperto al pubblico organizzato dall’Università di Urbino in collaborazione con la Società Italiana di Economia (SIE). L’evento, trasmesso via web e pensato non solo per gli addetti ai lavori, ha fornito nuovi strumenti per la lettura delle complesse dinamiche che la politica commerciale di Trump hanno messo in moto, riscuotendo un buon interesse con numerosi utenti collegati online.
Gianmarco Ottaviano, dell’Università Luigi Bocconi di Milano, primo dei relatori, ha offerto un quadro d’insieme degli effetti dei dazi per chi li impone e chi li subisce, ricordando che la politica commerciale aggressiva degli Usa non comincia con Trump, ma prende il via già durante la presidenza di Obama e prosegue secondo una logica di sostanziale continuità anche nel corso della presidenza Biden. Secondo Ottaviani, l’escalation senza precedenti delle barriere tariffarie introdotte dalla nuova amministrazione americana non interesserà solo gli scambi bilaterali USA-Cina ma implica che “il commercio internazionale difficilmente potrà crescere”. La congiuntura è poi aggravata dalla grande incertezza dovuta all’impossibilità di sapere cosa succederà.
Giorgia Giovannetti, dell’Università di Firenze, ha analizzato le conseguenze dei dazi sul commercio internazionale, sottolineando che le nuove tariffe volute da Trump hanno superato addirittura i livelli raggiunti durante la Grande Depressione. Si profila ora uno scenario ignoto perché il sistema economico globale degli ultimi 80 anni, con le sue regole, sta cedendo il passo a un nuovo sistema di cui non si conoscono ancora i contorni e le modalità di funzionamento. Al centro del suo intervento, le motivazioni geopolitiche che alimentano la guerra commerciale e che possono portare a un rimescolamento delle alleanze a livello globale. Grande rilevanza ha anche l’effetto sui dazi delle catene di valore globale, perché “i dazi su un prodotto intermedio moltiplicano il loro effetto quando il prodotto attraversa i confini più volte”.
Antonello Zanfei, dell’Università di Urbino Carlo Bo, ha esaminato le ripercussioni dei dazi sugli investimenti esteri, evidenziando come le nuove tariffe sulle importazioni siano state concepite “come un unico strumento per perseguire più obiettivi: ridimensionamento del deficit commerciale, stimolo gli investimenti negli Stati Uniti, difesa e crescita della manifattura statunitense”. Obiettivi che mal si conciliano con la frammentazione della produzione mondiale, a cui partecipano attivamente le multinazionali Usa, e col fatto che metà degli scambi mondiali avvengono all’interno di catene globali di valore. I dazi potrebbero finire quindi per penalizzare proprio le multinazionali statunitensi oltre alle imprese esportatrici che pure si approvvigionano da fornitori esteri colpiti dai dazi, mentre difficilmente potranno favorire la localizzazione negli Usa di attività manifatturiere, dati i dislivelli delle remunerazioni della forza lavoro.
Giuseppe Travaglini, dell’Università di Urbino Carlo Bo, ha approfondito il tema del disavanzo e della crescita negli USA alla luce delle nuove guerre commerciali, per comprendere se la ricetta di Trump è possibile o nasconde contraddizioni che potrebbero determinarne il fallimento. Secondo Travaglini l’obiettivo MAGA che richiede più investimenti e surplus commerciale è irraggiungibile “nel breve periodo, a meno di scaricare il prezzo dell’aggiustamento tutto sui partner commerciali”. I dazi, inoltre, “non eliminano il deficit senza riequilibrare il risparmio con l’investimento, mentre i rischi per l’economia globale sono la stagflazione interna Usa, la frammentazione commerciale e la de-dollarizzazione”.
Annamaria Simonazzi, dell’Università di Roma La Sapienza, ha svolto l’ultimo intervento della mattinata focalizzando l’attenzione sugli effetti dei dazi sul sistema finanziario e sulla struttura produttiva, notando come i dazi del Liberation day siano stati seguiti da una reazione insolita del mercato: “Durante una crisi, il dollaro tende ad apprezzarsi, si è avuta invece - a fronte di una svendita di titoli del Tesoro Usa - un forte deprezzamento del dollaro” che segnala probabilmente una crisi di fiducia nel dollaro come valuta di riferimento. Un uso coercitivo dei dazi anche verso gli alleati può ritorcersi contro gli Usa, tuttavia, “il vantaggio statunitense nel progresso tecnologico, se non sarà frenato da Trump, può continuare a sostenere il ruolo dominante del dollaro”. Per questo, prevede Simonazzi, la detronizzazione del dollaro sembra ancora lontana, così come un nuovo sistema multipolare.
La registrazione dell’evento è disponibile al seguente link:
https://drive.google.com/file/d/12O1qaVSXpz6HFyuFXpClkjPHKebLmNRY/view
Per informazioni: Gabriele Carchella, Ufficio Stampa SIE, sie.comunicazione@sm.univpm.it, cell. 329 4025813